Grecia: la democrazia che spaventa l’Europa

bottifineanno

Gli schermi al plasma che circondano gli operatori di borsa hanno iniziato a trasmettere – all’unisono – un film dell’orrore: Atene -11%, Milano -3%, euro a 1,216, il minimo da due anni. Gli spread che salgono. Un disastro! A distanza di cinque anni dall’esplosione della crisi greca, i mercati finanziari sono tornati a tuonare contro il piccolo paese della periferia europea. La causa scatenante? Democratiche elezioni. Già, il vero incubo, per i mercati, sembra essere proprio la vecchia, novecentesca, democrazia.

Torniamo ai fatti. Le elezioni politiche si sarebbero dovute tenere, in Grecia, nei primi mesi del 2016, tra più di un anno: fino a quel momento, l’attuale governo di unità nazionale (già sentito?) avrebbe garantito l’esecuzione di tutte le misure di austerità richieste al paese dai suoi creditori. Tuttavia, nei primi mesi del 2015 sarebbe terminato il mandato dell’attuale Presidente della Repubblica, e dunque il Parlamento avrebbe dovuto eleggere il suo successore. E qui sta il ‘problema’: l’elezione del Presidente della Repubblica richiede il voto favorevole di circa i due terzi del Parlamento, mentre l’attuale maggioranza poteva contare su poco più della metà dei parlamentari. Dunque, il destino di questo governo sembrava segnato, tanto da indurre il premier Samaras ad accelerare i tempi della crisi, anticipando l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica al dicembre 2014. Finalmente, il 29 dicembre di quest’anno viene sancita l’impossibilità di raggiungere il quorum richiesto: sciolto il Parlamento, sono indette elezioni politiche per la fine di gennaio. Insomma, in poco più di un mese si è consumata una vera e propria crisi politica, resa ancora più ‘drammatica’ da una circostanza: i sondaggi più recenti mettono al primo posto un partito della sinistra radicale dichiaratamente contrario alle misure di austerità imposte al paese dall’Europa, Syriza. Dunque, il problema dei mercati appare chiaro: l’attuale maggioranza, che trasformava in legge qualsiasi ordine proveniente dalle istituzioni europee, viene liquidata, con il rischio concreto che venga sostituita da una compagine ostile agli attuali orientamenti della politica economica dell’Unione Europea.

Per comprendere appieno il significato di questo tornante della storia contemporanea europea, dobbiamo considerare più da vicino le basi materiali entro cui si muovono le vicende greche. Alla fine del 2009 la Grecia è stata colpita da una crisi del debito pubblico, con un improvviso aumento del tasso dell’interesse che ha rapidamente condotto il paese fuori dai mercati finanziari, nell’impossibilità di contrarre debito a condizioni ragionevoli. In suo soccorso, come noto, sono intervenute le istituzioni europee – coadiuvate dal Fondo Monetario Internazionale: questi creditori istituzionali hanno concesso al paese una serie di prestiti che hanno consentito il rifinanziamento del debito pubblico in scadenza a tassi contenuti. Tuttavia, questo intervento dei creditori istituzionali è stato subordinato alla sottoscrizione di un Memorandum, un documento in cui il governo greco si impegnava ad implementare una serie di dettagliatissime misure di politica economica: dai tagli alla spesa pubblica agli aumenti delle tasse e all’abolizione delle tutele dei lavoratori. L’effetto di queste misure è sotto gli occhi di tutti: negli anni dell’austerità, la Grecia ha perso circa un quarto della sua produzione, raggiungendo tassi di disoccupazione del 27%. Una catastrofe economica dai costi sociali incommensurabili: l’autorevole rivista medica Lancet ha rilevato un incremento straordinario dei suicidi (+45%), dei bambini nati morti (+20%), della mortalità infantile (+43%), dei bambini nati sottopeso (+19%), delle infezioni di AIDS (dalle 15 del 2009 alle 484 del 2012) e dell’incidenza di malattie che sembravano marginalizzate o addirittura dimenticate, come la tubercolosi o la malaria. Questo sì, un film dell’orrore. Eppure, bisogna prendere atto che una simile macelleria sociale rappresentava un elemento di stabilità per l’Unione Europea: gli spread infatti erano piatti, fino a ieri. Cosa è accaduto, nel frattempo?

Negli anni della crisi, il progetto di unificazione monetaria europea ha indotto profondi mutamenti nel processo di indebitamento pubblico della Grecia. Il debito pubblico di quel paese è oggi per oltre tre quarti composto da prestiti istituzionali: si tratta cioè di finanziamenti raccolti al di fuori dei mercati – dove i tassi di interesse sono diventati proibitivi per la Grecia – e concessi da quei responsabili della politica economica europea che pretendono – in cambio – l’attuazione dell’austerità. Perso l’accesso ai mercati finanziari, dove un qualsiasi paese può finanziare il proprio debito pubblico in autonomia, senza subire condizionamenti esterni, la Grecia è così diventata dipendente dalle risorse messe a disposizione dall’Europa. Peraltro, il restante quarto del debito pubblico greco, effettivamente composto da titoli negoziabili sui mercati, è assoggettato alla legislazione inglese (una clausola pretesa dai creditori privati), in modo da rendere impossibile un’eventuale ridenominazione del debito in caso di fuoriuscita dall’euro. Insomma, la Grecia è oggi in una posizione di totale subordinazione rispetto ai suoi creditori, vincolata all’implementazione delle misure di austerità da un meccanismo disciplinante che affonda le sue radici nelle particolarissime condizioni monetarie imposte dall’Europa al debito pubblico greco.

La stessa crisi del debito pubblico, con le frenetiche oscillazioni degli spread, non sembra altro che un ingranaggio di questo meccanismo, orientato al governo delle economie europee. La questione dell’insostenibilità del livello del debito pubblico accumulato dalla Grecia, da cui tutto sembra aver avuto origine secondo la narrazione ufficiale, risulta palesemente contraddetta dai fatti: la Grecia è stata affondata dagli spread quando aveva un debito inferiore al 130% del Pil, ed ha visto calmarsi le acque sui mercati finanziari, negli anni dell’austerità, mentre il suo debito pubblico saliva oltre il 170%. Più che della sostenibilità del livello del debito pubblico, gli spread sembrano un indice del grado di adesione di un paese alle raccomandazioni delle istituzioni europee: si scaldano quando un governo si allontana dalle richieste dell’Europa, e si raffreddano non appena il paese indisciplinato torna sulla retta via dell’austerità. Una conferma di questa interpretazione proviene, paradossalmente, dal cuore delle istituzioni europee, ed in particolare dal responsabile dell’European Stability Mechanism, proprio il fondo che detiene i prestiti concessi dalle istituzioni europee ai paesi in difficoltà. Nello scorso 16 ottobre, ad un giornalista di Market News International che gli chiede: “Ma lei crede che l’attuale debito pubblico greco sia sostenibile?”, il tedesco Klaus Regling risponde: “Assolutamente sì”, ed aggiunge: “Fintanto che il processo di riforme continua”. Insomma, la sostenibilità del debito pubblico greco è nelle mani della troika, e qualsiasi allontanamento dal percorso previsto dal Memorandum rischia di compromettere la stabilità finanziaria del paese. Queste sono le basi materiali entro cui dobbiamo contestualizzare le vicende politiche greche, lo spazio entro cui è costretta oggi la democrazia: l’austerità come condizione posta dall’Europa alla stabilità finanziaria. Per queste ragioni, dunque, l’irruzione sulla scena di imminenti elezioni politiche che rischiano di allontanare Atene dal Memorandum ha fatto traballare i mercati finanziari.

Non sappiamo quali saranno gli spazi di manovra che la politica greca saprà conquistarsi all’interno del quadro appena delineato. Uno sguardo al recente passato non è certo incoraggiante. Prima della tornata elettorale che si è conclusa, nel 2012, con la formazione del governo oggi dimissionario, i presidenti dei due principali partiti di centrodestra e centrosinistra, Samaras (Nuova Democrazia) e Papandreou (Movimento Socialista Panellenico), hanno inviato due lettere alle autorità europee. Samaras scriveva: “qualora Nuova Democrazia dovesse vincere le elezioni in Grecia, noi resteremmo fedeli agli obiettivi, i traguardi e le politiche descritti dal Memorandum”, e Papandreou scriveva: “in caso fossimo eletti come prossimo governo della Grecia, resteremmo pienamente fedeli alla effettiva implementazione degli obiettivi e dei traguardi descritti dal Memorandum.” Si tratta con tutta evidenza di lettere gemelle, dove le stesse parole sono state usate per esprimere il medesimo messaggio: la politica economica greca non sarà influenzata dal voto. Coerentemente, centrodestra e centrosinistra diedero vita ad un governo di unità nazionale capace di attuare senza esitazioni le misure di austerità: la politica economica era stata posta fuori dal gioco della democrazia, cioè resa assolutamente indipendente dagli indirizzi espressi dal popolo greco.

La speranza, oggi, è che i partiti della sinistra radicale, da Syriza ai comunisti del KKE, sappiano sfruttare con abilità il consenso maturato contrastando con coraggio le politiche di austerità, e riescano a tradurlo in un’arma politica capace di far saltare qualche ingranaggio di quel complesso meccanismo di disciplina delle economie che è l’Unione Europea.

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