Le responsabilità della politica (monetaria)

STRETTA MONETARIA red

Il governatore della Banca Centrale Europea si trova sempre più al centro di contestazioni e proteste. Come se, per il ruolo che riveste, potesse essere annoverato tra i principali responsabili dei 18 milioni di disoccupati nella sola zona dell’Euro, del crollo dei salari dei lavoratori, della desertificazione industriale che investe la periferia europea; insomma, di quel disastro che si sta sistematicamente realizzando in Europa. Cercheremo ora di illustrare brevemente che le cose stanno effettivamente così: l’autorità monetaria ha il controllo diretto di alcune tra le leve più importanti delle nostre economie, e le sta impiegando con il preciso scopo di mettere in ginocchio i lavoratori europei. L’idea più generale che la politica monetaria funzioni, in Europa, come dispositivo disciplinante della società era stata avanzata già nel 2005 da un economista critico, Fernando Vianello, che scriveva – ben prima che la crisi esplodesse:

“La politica monetaria (e del cambio), vista un tempo come qualcosa che si pone al servizio della società – qualcosa che asseconda la libera determinazione dei comportamenti sociali, che tiene conto delle caratteristiche della struttura produttiva e della stratificazione sociale, del grado di conflittualità delle relazioni industriali, dell’esistenza o meno di aree depresse o di un distacco d’industrializzazione da colmare – è ora concepita come qualcosa che detta legge alla società, che fornisce un quadro di riferimento astratto entro il quale il corpo vivente della società deve comprimersi, come in una camicia di forza, non importa a quali costi.”

La prima a sfilare in passerella con questa camicia di forza è stata la Grecia. Negli ultimi mesi del 2009 quel paese ha visto aumentare a ritmi straordinari il tasso di interesse pagato sul suo debito pubblico: dinamiche speculative stavano mettendo in discussione la capacità dei greci di finanziare il proprio debito pubblico sui mercati. Quando emergono simili difficoltà si ricorre all’intervento del cosiddetto ‘prestatore di ultima istanza’, un termine che lascia poco spazio all’immaginazione: la banca centrale, ovvero quell’istituzione pubblica che detiene la facoltà di creare moneta, ha il potere di sostenere il processo di indebitamento pubblico in qualsiasi momento. Così in effetti è avvenuto in tutte le economie avanzate che hanno incontrato difficoltà negli anni della crisi, dal Regno Unito al Giappone, passando per il caso più eclatante degli Stati Uniti: molto semplicemente, la banca centrale crea la moneta necessaria al governo, il quale dunque non ha più alcun bisogno di contrarre debiti sui mercati, laddove i creditori possono pretendere rendimenti sempre più alti. Difatti non abbiamo assistito ad alcuna crisi del debito pubblico inglese, giapponese o americano. Per quanto riguarda l’Europa, la questione si fa più sottile.

Molti commentatori affermano infatti che il problema dell’Europa sia l’assenza di questa particolare figura, il prestatore di ultima istanza: i Trattati impedirebbero alla BCE di finanziare i governi, rendendo così inattuabile il prestito di ultima istanza. La conseguenza politica di questa interpretazione della crisi europea è evidente: l’autorità monetaria non avrebbe alcuna responsabilità circa l’attuale, drammatica, situazione sociale e le politiche economiche che la alimentano. Addirittura, a partire da questa lettura, si arriva a tessere le lodi del governatore Draghi, dipinto come il salvatore della patria (Europa, ovviamente) che starebbe facendo tutto il possibile per risollevare le sorti delle nostre economie. Tutto il possibile significa che sta attuando una politica monetaria cosiddetta ‘espansiva’: sta effettivamente creando moneta, ma la affida alle banche private anziché ai governi nazionali e, ci dicono, non potrebbe fare altrimenti a causa dei Trattati. Eppure le cose non stanno così.

Contrariamente a quanto si racconta, la BCE è già intervenuta a sostegno dei debiti pubblici europei: direttamente, acquistando oltre 200 miliardi di titoli pubblici proprio durante la crisi con il Securities Market Programme (SMP), ed indirettamente, quando le banche centrali europee hanno sostenuto, con i loro prestiti, il fondo salva stati (l’allora European Financial Stability Facility, EFSF), che ha garantito ai paesi in crisi circa 190 miliardi di euro. Stiamo parlando di cifre astronomiche, se pensiamo che la crisi greca è esplosa a causa delle difficoltà del governo di rifinanziare poche decine di miliardi di euro. Quindi in Europa il prestatore di ultima istanza c’è, eccome! Il problema sta nel fatto che il suo operato non sembra orientato al sostegno incondizionato delle economie europee. Infatti negli anni della crisi è stato imposto, in Europa, il ‘principio di condizionalità’ all’operato del prestatore di ultima istanza: la banca centrale presta denaro ai governi in difficoltà, come effettivamente ha fatto negli anni passati in barba ai Trattati, ma solo a certe condizioni, puntualmente elencate in un apposito documento che il debitore deve sottoscrivere per ottenere l’agognato prestito. Scorrendo le pagine di questo documento, il fatidico Memorandum, possiamo finalmente comprendere quali siano i reali obbiettivi dell’autorità monetaria europea, fuori da ogni retorica. L’attivazione dei prestiti richiede che i governi debitori attuino senza indugi e a tappe forzate le politiche di austerità. In Europa, dunque, la possibilità di accedere al prestito di ultima istanza – una possibilità su cui si fonda la stabilità finanziaria di qualsiasi economia avanzata – è subordinata all’attuazione dell’austerità: chi non si impegna a tagliare la spesa pubblica e a ridurre le tutele dei lavoratori viene dato in pasto alla speculazione finanziaria. Ecco chiarita l’origine della crisi europea del debito pubblico: l’autorità monetaria sfrutta la sua posizione di prestatore di ultima istanza per ricattare i governi nazionali, garantendo la stabilità finanziaria solo ai paesi che hanno intrapreso la via dell’austerità.

La Grecia è stata la cavia su cui le istituzioni europee hanno sperimentato l’efficacia di questo dispositivo disciplinante. Una volta appurata la potenza di questo strumento di orientamento delle politiche economiche nazionali ad opera della politica monetaria europea, la BCE si è adoperata per perfezionare il meccanismo: facendo evolvere l’SMP nelle Transazioni Monetarie Definitive (OMT dall’acronimo inglese) ed il fondo salva stati nel Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), ha ricamato una camicia di forza che potrà essere applicata a qualsiasi paese europeo. Il disegno non potrebbe essere più chiaro, e può essere brevemente descritto come segue. Un paese “indisciplinato” dal punto di vista finanziario viene rapidamente colpito da un aumento degli spread, veri e propri cani da guardia di questo sistema; il crescente costo dell’indebitamento pubblico induce così il governo a ricorrere al prestito di ultima istanza, l’unica via d’uscita dalla spirale nei tassi dell’interesse. Qui intervengono i due strumenti di politica monetaria citati, ma se e solo se il governo in difficoltà sottoscrive un Memorandum in cui impegna il suo paese sulla via dell’austerità: altrimenti, l’unica via d’uscita dalla crisi si sbarra, ed il paese è lasciato in balia dei mercati. Se si accetta l’austerità, la banca centrale acquista titoli pubblici sui mercati tramite le OMT, raffreddando così gli spread: i cani da guardia vengono riportati nella gabbia, hanno svolto il loro compito – riportando il paese “indisciplinato” sulla retta via. Mentre gli interessi sul debito pubblico vengono progressivamente abbassati, il paese può finalmente rifinanziare il suo debito pubblico attraverso un fondo apposito, alimentato dalla banca centrale, l’ESM. Il ritorno alla stabilità finanziaria, dunque, ha un caro prezzo in Europa: l’austerità.

Le OMT e l’ESM sono due pilastri di una politica monetaria che sancisce l’impossibilità, per i governi nazionali, di accedere a prestiti della banca centrale in assenza di un impegno formale ad attuare l’austerità. A tal proposito Draghi ha efficacemente parlato di “pilota automatico” imposto alla guida delle economie europee: le decisioni fondamentali di politica economica di paesi come il nostro vengono oggi prese, fuori da qualsiasi dinamica democratica, dai responsabili delle istituzioni europee. Chiunque volesse, un domani, uscire dai binari indicati da queste finirebbe per schiantarsi contro il muro della speculazione finanziaria, come lucidamente previsto nel disegno di politica monetaria che si è affermato in Europa.

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